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Trento, 22 gennaio 2012
QUANDO BOATO FECE L’«ESAME» A MONTI
Il premier era un prof novello e l’ex senatore il leader di Sociologia
dal Corriere del Trentino di domenica, 22 gennaio 2012

Possibile che in giorni caldi come questi, stretto tra la rabbia dei tassisti e quella dei farmacisti, il presidente del Consiglio Mario Monti trovi il tempo di ricordare la notte insonne che visse tanti anni fa a Trento, prima di prendere possesso della sua prima cattedra universitaria?

Certo, come no. Ospite di Lilli Gruber, lo ha fatto l’altra sera a «Otto e mezzo» su La7. D’altra parte dev’essere stato un vero e proprio trauma, per l’allora economista di appena 26 anni. Basta rileggersi l’intervista che rilasciò nel giugno 2005 al settimanale «L’Espresso». Domanda di Stefania Rossini: il suo primo incarico universitario è stato alla facoltà di Sociologia a Trento. Era il 1968 e molti suoi coetanei erano nel movimento. Lei partecipò? Risposta: «Ero un docente e mi comportavo come tale. Capo del movimento era Marco Boato e ricordo che il primo giorno lui e altri leader studenteschi, che davano del tu ai docenti, dissero quasi incidentalmente: “Ah, naturalmente faremo l’esame politico a ognuno di voi”. Quella notte non ho dormito». Nuova domanda: come andò l’esame? «Non lo feci. E in fondo anche Trento è stata un’esperienza interessante».

Correva appunto l’anno 1969, a Sociologia. Anzi, all’Istituto superiore di scienze sociali: allora si chiamava così. Direttore Francesco Alberoni, Comitato ordinatore composto da un tris d’assi: a guidarlo l’illustre statistico Marcello Boldrini, fino a due anni prima presidente dell’Eni, con lui Norberto Bobbio e Beniamino Andreatta. A loro spettano in sostanza le assunzioni dei nuovi professori. E dopo la grande occupazione del ‘68, da fine gennaio a inizio aprile (quando il cosiddetto “controquaresimale” in Duomo di Paolo Sorbi scatenerà polemiche tali da rendere necessarie trattative serrate per riportare la pace in via Verdi), ne arrivano a decine, molti sono giovanissimi: Gian Enrico Rusconi, Chiara Saraceno, Bruno Manghi, Franco Fornari. C’è anche Monti, fresco di laurea alla Bocconi. Li accoglie un ateneo mai visto prima in Italia, istituito informalmente sul modello tedesco della “Kritische Universitat” di Berlino Ovest raccontata in un libro appena pubblicato da Marsilio, che fa furori tra i giovani.

È lo stesso Alberoni a cavalcare la sperimentazione: nuovo corpo docente, nuovo piano di studi, superamento delle lezioni frontali, impostazione seminariale. È una sorta di cogestione che si concretizza in una commissione paritetica (dieci docenti e altrettanti studenti, tra i quali appunto Boato) con voce su tutto: dall’attività accademica e di ricerca, fino all’uso degli spazi. Con anche un incidente, non di poco conto: ne fa le spese un altro giovane professore, Pietro Scoppola, chiamato a Trento per insegnare storia moderna e contemporanea. Pure lui al debutto accademico, la sua fama di studioso del mondo cattolico non piace a una frangia di studenti. Durante una delle prime lezioni viene duramente contestato. Lui, abituato a ben altre situazioni (in precedenza era funzionario del Senato), non regge: per lo choc lascerà la cattedra. E per riaffidargli l’insegnamento universitario un paio d’anni dopo il Parlamento varerà addirittura una leggina ad hoc.

E poi Monti. Uomo algido ma di un certo spirito. Tanto che Boato, quando negli anni ‘90 siede nell’ufficio di presidenza della Camera, ritrova l’allora commissario europeo a Montecitorio, durante una cerimonia nella sala della Lupa. Il protocollo, ironia del destino, li mette a sedere fianco a fianco. “Supermario” si gira e gli fa sorridendo: «Noi ci conosciamo dai tempi di Trento...» Da quando, all’inizio dell’anno accademico 1969-70, arriva appunto in via Verdi a insegnare. I due leader studenteschi sono Mauro Rostagno e Marco Boato: il primo “movimentista”, fautore della lotta unitaria assieme agli operai, il secondo, appena due anni più giovane del professor Monti, con un ruolo che oggi lui stesso definisce di “cuscinetto”: «Ero considerato quello di destra, quando c’era da trattare toccava a me». E ce n’era eccome: la facoltà in quei giorni scoppia, nel ‘69 si contano 2 mila nuove matricole, richiamate a Trento per la fama che l’università critica conquista in tutta Italia. E che prevede appunto le “forche caudine” da cui, come tutti i colleghi, passa anche il futuro premier.

«Ma non era affatto un esame politico - spiega Boato - lo dice anche Monti in quell’intervista. Era una routine, tutt’altro che aggressiva: il nuovo professore veniva presentato da Alberoni e illustrava il suo corso di fronte al plenum dei docenti e a una rappresentanza degli studenti, di cui anch’io facevo parte. Ed è vero che davamo del tu ai professori, ma non a chi non lo desiderava, come ad esempio Guido Baglioni». E per dire quanto fosse potente l’impostazione accademica di una volta basta pensare a Prodi, che anche in Consiglio dei ministri dava del lei a Nino Andreatta, di cui fu allievo, mentre Andreatta gli dava del tu. A Monti, che arriva dall’austera Bocconi, sarà proprio questo rapporto confidenziale che gli studenti si concedono con i professori a risultare scioccante. Un trauma lungo oltre 40 anni.

 

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